Sapito in Pacifico 2015: tra Polinesia e Melanesia

Riprende la stagione di navigazioni ed esplorazioni del Sapito!

Per chi fosse interessato c’è la possibilità di raggiungere l’imbarcazione durante le sue rotte che quest’anno si svolgeranno tra la Polinesia e la Melanesia con questo programma di massima:

– Aprile: Isole della Società (Tahiti, Moorea, Huahini, Raiatea, Tahaa, Bora-Bora, Maupiti), Isole Cook

– Maggio/giugno/luglio: Niue, Isole Tonga

– fine luglio/agosto/settembre: Fiji

– fine settembre/ottobre/inizio novembre: Vanuatu

Per contatti:

Tel. Luca 3385685544 fino al 16/3/2015

Mail: luca.grassilli@gmail.com

Sapito in Polinesia: isole della Società

…e verso fine agosto lasciamo le splendide Tuamotu per avvicinarci a Tahiti, in previsione della partenza di Lorenzo e Leonardo, figli di Luca, impegnati nella nuova stagione scolastica. La prendiamo larga, dirigendoci verso una delle isole più distanti del gruppo della Società: la notissima Bora-Bora.
Sono circa duecentoquaranta le miglia che la separano da Tikehau, percorse in meno di due giorni.
Arriviamo nella stupenda laguna dell’atollo pieni di aspettative e già gratificati dalla cattura in navigazione di due bellissime lampughe.

E nonostante i molti pareri non sempre positivi che avevamo colto nei commenti e indicazioni da parte di vari amici, la realtà che troviamo supera di gran lunga le aspettative: una laguna che più bella e grande non ci sarà possibile vedere alle isole della Società, con l’isola centrale poco rovinata dal turismo, concentrato invece sui Motu, le piccole stirsce di sabbia corallina che compongono il bellissimo anello esterno dell’atollo. Qui si snodano una serie di esclusivi resort turistici formati da bungalow a palafitta, che più che deturpare il paesaggio lo caratterizzano con tutte queste strutture di legno e dai tetti in paglia. Alla fine ci troviamo di fronte sicuramente un ambiente molto più turistico ed alterato rispetto alle realtà prima visitate, ma questo ce lo aspettavamo.
Quello che non prevedevamo era uno scenario così piacevole e di impatto: un turismo sicuramente non di massa, che conserva nell’ambiente in cui opera un notevole senso di compatibilità ed equilibrio.
Bello il giro dell’isola via terra, effettuato, come un po’ in tutta la Polinesia Francese, in autostop. In questi luoghi, infatti, sono frequenti i passaggi ottenuti sia dai locali che da turisti con auto in affitto, a dimostrazione del clima di serenità ed amicizia che qui si respira quasi ovunque.
Molto interessanti gli incontri all’interno della laguna, sia con squali e razze che, in un meno di un metro d’acqua, cercano il contatto fisico, nella speranza di accaparrarsi qualche pezzo di pesce dalle mani dei turisti, sia con mante solitarie alla ricerca dell’abbondante plancton che si concentra in alcuni punti della laguna.

Stupendo anche l’ormeggio alla boa (totalmente gratuito) di fronte al ristorante Bloody Mary’s, dove si può tornare in contatto con il mondo civilizzato tramite il wi-fi (anch’esso gratuito), gustando un piacevole aperitivo o un buon pasto, a base di pesce o carne e godendo di tramonti da cartolina.

Da Bora, come viene comunemente chiamata dai locali, passiamo prima al vicino atollo che include al suo interno le due belle e rigogliose isole di Tahaa e Raiatea, con alcune stupende zone coralline con colori e forme incredibili e con la coltivazione di una varietà di orchidea da cui si ricava una vaniglia considerata tra le migliori al mondo.

Poi si passa a Huahini, anch’essa poco abitata e con una splendida laguna.

Quindi ci dirigiamo verso la stupenda Moorea, e siamo ormai a due passi da Tahiti.

Ci troviamo all’ancora con varie barche di amici conosciuti sia in Pacifico che ai Caraibi, passando vari giorni dedicandoci a snorkeling tra trigoni e squali pinna nera, immersioni con i grandi squali limone, visite a terra tra panorami mozzafiato, rigogliose vegetazioni e piantagioni di ananas.
Quest’isola, vista la comoda vicinanza con Tahiti, si rivelerà un comodo e sicuro rifugio quando saremo stanchi del superaffollato ancoraggio di Taina, a Papeete. Saranno così svariate le volte in cui ci trasferiremo da un’isola all’altra.

A Papeete d’altro canto potremo perfezionare i documenti per l’entrata in Polinesia Francese, rimpinguare la cambusa in vista degli ultimi mesi di permanenza in barca, passare piacevoli giornate in un ambiente più evoluto di quelli degli ultimi periodi, alla ricerca di pezzi di ricambio e materiali per varie sistemazioni della barca, oltre a permettere alcuni cambi di equipaggio: a metà settembre infatti partiranno da qui gli amici Chicca e Giuseppe, dopo oltre otto mesi di permanenza a bordo, cui daranno il cambio Susi e Tiziano, con i quali Sapito percorrerà a ritroso le ultime tappe, fino a tornare faticosamente contro vento e mare a Rangiroa alle Tuamotu. Da qui Luca riporterà da solo il catamarano ad Apataki, ultima destinazione della stagione 2014.

…e dopo diciotto mesi di navigazione quasi ininterrotta, Sapito, colmata la distanza di oltre 15.000 miglia tra Monfalcone ed Apataki, si concederà un lungo periodo di riposo in corrispondenza con il periodo dei cicloni in Polinesia. Durante questo lasso di tempo saranno effettuati vari lavori di manutenzione che dovranno consentire altre lunghe e comode navigazioni già dalla prossima stagione.

Appuntamento quindi a marzo per il completamento dei lavori e con l’imbarco del nuovo equipaggio!

Sapito in Polinesia: isole Tuamotu

…e dopo i problemi avuti da tutto l’equipaggio con la Chiguatera, con la partenza per motivi di salute di Aldo, accompagnato in Italia da Renato, i tre reduci Luca, Giuseppe e Chicca, hanno cercato di rimettersi in forze per poter di nuovo affrontare l’oceano. Così, forzando i tempi che avrebbero imposto un ben più lungo recupero dai fastidi fisici, a fine giugno Sapito ha ripreso il largo, con direzione l’atollo di Fakarava, alle isole Tuamotu. Quattro i giorni di navigazione per complessive 550 miglia.

All’arrivo all’ancoraggio fraternizziamo con l’equipaggio italiano de “La Cardinala”, bellissima barca da charter francese di 23 metri circa. Comandante è il noto navigatore Andrea Pestarini, coadiuvato dal bravo Jacopo alle manovre e dalla moglie, la simpaticissima Chicca, che si occupa della cucina e di tutto il “lavoro sporco”. Andrea e Chicca per sei mesi lavorano su questa signora dei mari, per poi trasferirsi sulla loro storica “Mai stacc”, dove si godono le navigazioni spaziando un po’ in tutti i mari del mondo.
Sarà questa una frequentazione molto piacevole ed utile per noi del Sapito, vista l’estrema cortesia e la grande esperienza di atolli e di navigazione che questo equipaggio ha. Saranno molti i consigli e le dritte su ancoraggi e luoghi utili, oltre ai suggerimenti per riparazioni e lavoretti vari da effettuare sul nostro catamarano: grazie ancora amici!

Ai primi di luglio l’equipaggio si arricchisce di due giovani componenti, Lorenzo e Leonardo, figli di Luca, che da subito si acclimatano con il nuovo ambiente, dando sfogo alle loro attività preferite, la pesca, il nuoto, l’osservazione dei fondali, la canoa…

Sì, perché qui alle Tuamotu, a differenza dalle Marchesi visitate in precedenza, le attività prevalenti sono concentrate sul mare.
Mentre le Marchesi infatti sono delle rigogliose isole con grandi montagne, ma con fondali di origine vulcanica molto scuri, che tradiscono la loro giovane età geologica e che non invitano alla balneazione, ma spingono i visitatori a cimentarsi nelle più disparate attività montane, al contrario le Tuamotu sono dei bassissimi anelli di corallo e sabbia bianca, sormontati al più da alti ciuffi di palme da cocco. Qui le montagne erano sicuramente esistite, ma in lontanissime epoche sono sprofondate, lasciando in superficie solo i candidi anelli corallini.
A conferma di ciò esistono le vicine isole della Società, che visiteremo in seguito, anello di congiunzione in cui coesistono le barriere coralline, tipiche delle Tuamotu, e le alte montagne, tipiche delle Marchesi.

Alle Tuamotu la trasparenza delle acque e la bellezza delle lagune sono proverbiali con tutte le sfumature di turchese che nelle zone lagunari la fanno da protagonista.

Come dicevamo abbiamo trascorso i primi giorni alle Tuamotu, a Fakarava, secondo atollo dell’arcipelago per estensione, caratterizzato da due stupende pass, accessi alla laguna interna, patria dei subacquei di tutto il mondo.
Quella a nord, detta Garuae, è molto ampia, quasi un miglio, ed ha dei bellissimi fondali corallini, che culminano nello stupendo canyon “Alì Babà”.
Qui le grandi strutture coralline si alternano a stupendi branchi di pesci che si ridossano per sfuggire alle notevoli correnti in entrata ed uscita dalla laguna, con gli squali, perlopiù grigi, che vigilano.
La pass sud, invece, denominata Tumakohua, è molto più stretta e forse meno spettacolare per ciò che riguarda i coralli, ma incredibilmente piena di squali grigi, che durante l’immersione si presentano come un grande e compatto muro. Sono centinaia gli esemplari che si possono ammirare contemporaneamente, con qualche intruso di altra specie, tra cui ogni tanto qualche esemplare di squalo tigre.

A Fakarava abbiamo anche il piacere di festeggiare con i locali il 14 luglio la “presa della Bastiglia”, giorno di festa nazionale francese. Tutta la popolazione si ritrova per celebrare, assieme agli equipaggi delle barche all’ancora, questo importante evento, in cui si sprecano musiche, canti, giochi ed un simpatico pranzo offerto dal comune.

Nell’immagine qui sopra è ritratto lo sport locale, assieme alla voga sulle piroghe, più popolare delle Tuamotu: si tratta del lancio di una specie di giavellotto con cui si deve colpire una grande noce di cocco infilzata su una lunga pertica.

Dopo Fakarava ci dirigiamo verso il vicino atollo di Toau, praticamente disabitato, a parte la stupenda baia a nord-ovest, cui si può accedere solo direttamente dall’oceano aperto. Qui facciamo uno stupendo snorkeling in una zona di coralli poco profonda, con varie specie di pesci di laguna che ci nuotano attorno.
Poi passiamo all’atollo di Apataki, dove visitiamo il piccolo cantierino in cui lasceremo a terra la barca a fine ottobre, in previsione del periodo di brutto tempo che potrebbe portare al passaggio di qualche ciclone nell’area Polinesiana.

Certo che se i cantieri da noi fossero tutti così, che senso avrebbe girare il mondo…

Quindi si va a Rangiroa, l’atollo più grande dell’intero arcipelago, dove passiamo delle giornate memorabili con gli amici e gli ospiti del “Plum”, gestito dal fantastico Enrico Tettamanti. Questa oltre ad essere una stupenda barca, Solaris 72, si avvale di un equipaggio di grandissima esperienza e professionalità, di una gentilezza e simpatia coinvolgenti anche per gli altri equipaggi e ciò nonostante il continuo impegno per i molti ospiti imbarcati. Saranno tanti gli ancoraggi condivisi in giro per l’atollo, e tante le precise informazioni che Enrico ci fornirà, permettendoci di godere dei più belli angoli dei vari atolli visitati in seguito.
E saranno ancora molte le occasioni di incontro di questa, che a nostro modesto avviso, è la più bella ed accogliente barca da crociera finora incontrata: evviva Enrico e la moglie Giulia ed il loro irresistibile progetto “Kamana sailing expedition”.

Stupende anche le immersioni e gli snorkeling con i delfini alla pass di Tiputa ed al vicino “Acquario”, bellissima riserva protetta in cui nuotare in mezzo a grandissimi branchi di pesci.

Da qui ci trasferiamo all’atollo di Tikehau, di cui rimarrà indelebile il ricordo delle mante all’interno del piccolo porticciolo al cui molo saremo attraccati per alcuni giorni.

E così termina la nostra momentanea permanenza alle Tuamotu.
Per nostra fortuna abbiamo deciso di ricoverare in questo arcipelago per la lunga stagione dei cicloni il nostro Sapito, così avremo ancora modo di riempirci gli occhi di tutte queste stupende tonalità di blu ed azzurri che qui creano un tutt’uno tra mare e cielo.

Partiamo così per l’arcipelago delle isole della Società, ultima meta delle nostre navigazioni nel 2014, prima del rientro con la barca ad Apataki prima ed in Italia in aereo poi.

Sapito in Polinesia: isole Marchesi (2)

… e dopo una settimana passata in semiclandestinità nella incantevole e selvaggia Fatu-Hiva, prima isola incontrata dopo la lunga traversata del Pacifico, abbiamo dovuto muoverci verso le successive isole, in quanto non era stato fino ad allora possibile espletare le pratiche burocratiche e doganali per l’entrata nella Polinesia Francese. Questa scelta è piuttosto comune, tanto che quasi tutti gli equipaggi in arrivo dalla traversata si comportano come noi, e la cosa è tollerata dalle autorità locali, essendo Fatu-Hiva più sopra vento e perciò difficilmente raggiungibile in un secondo momento dalle altre isole.
Cosicché, dopo la visita subita da parte della Gendarmeria nella Baia delle Vergini, che ci intimava a raggiungere i loro uffici di Hiva-Oa entro la domenica successiva, abbiamo spiegato le vele verso nord, raggiungendo la bella isola dopo una cinquantina di miglia.

Anche questa, come un po’ tutte le altre visitate successivamente, si è rivelata un’isola con una natura molto rigogliosa e incontaminata, anche se più popolata e civilizzata della precedente. Qui è stato possibile approvvigionare la cambusa in negozi abbastanza riforniti.
Interessante la visita al cimitero di Atuona, con le tombe del pittore Paul Gauguin e del cantautore belga Jacques Brel.

Spettacolare inoltre il giro dell’isola in fuoristrada, con scenari da cartolina ed una natura che la fa da assoluta protagonista. Frequenti le fermate per raccogliere da terra e dagli alberi consistenti quantità di frutta da mangiare sul posto e da riportare in barca: interi caschi di banane, sacchi riempiti di manghi, guayave, pompelmi, hanno contribuito non poco all’alimentazione dei giorni successivi.

Interessanti poi i siti archeologici dell’isola, considerati i più importanti di tutta la Polinesia per i grandi Tiki, sculture umanoidi in roccia rappresentanti le antiche divinità Maohi.

Da qui siamo poi stati all’isola di Tahuata, con le sue fantastiche baie dall’acqua cristallina, piene di squali e mante. Sicuramente l’isola più bella da noi visitata alle Marchesi per ciò che attiene il mare e la possibilità di balneazione, proprio per la trasparenza e la pescosità delle sue acque. Abbiamo visto finora ben pochi posti in cui si possa fare snorkeling attorniati da mante come in questo mare.

Da Tahuata, poi, con direzione nord-ovest, siamo arrivati dopo una settantina di miglia alla spettacolare Ua-Pou. Per dimensioni terza isola dell’arcipelago, caratterizzata da un profilo estremamente accidentato, con altissime guglie che spesso si nascondono tra le nubi.
Anche qui l’accoglienza da parte della popolazione locale è stata incredibilmente gentile e generosa, tanto che abbiamo visitato gratuitamente in fuoristrada, accompagnati da un locale, parte dell’isola, con sosta in un suo terreno privato per l’ennesima miracolosa raccolta di frutta.

Da Hua-Pou ci siamo poi trasferiti a Taiohae, capitale delle Marchesi, sull’isola di Nuku Hiva, la più grande dell’intero arcipelago.
Bellissima la settimana passata a fare il giro dell’isola, con sosta ogni giorno in baie stupende, culminato nella incantevole Baia d’Anaho, unica dotata di barriera corallina.
Qui purtroppo la natura si è rivelata beffarda nei nostri confronti, e nonostante le molte cautele fin qui avute, abbiamo contratto una temibile e molto fastidiosa malattia che si chiama Chiguatera. Una sera, infatti, abbiamo organizzato a bordo del Sapito una cena con amici francesi ed olandesi, cosa d’altro canto molto frequente sul nostro catamarano.
La cara amica Bernadette ha portato delle grandi conchiglie, dette Troca, raccolte in loco rassicurandoci sulla salubrità delle stesse, dopo aver interpellato dei pescatori locali. E ciò, aggiunto alle nostre conoscenze che escludevano tassativamente la possibilità di contrarre la suddetta malattia da molluschi o da crostacei, ci ha definitivamente convinti ad assaggiare il piccolo antipasto che ne era derivato: notte in bianco sulle tre barche alla fonda, con gli equipaggi intenti a disputarsi i pochi posti a sedere…nei bagni.
La cosa ha avuto parecchi strascichi, che hanno portato per i più fortunati ad una notte di ricovero presso il locale ospedale, per alcuni ben più lunghi ricoveri tra la Polinesia e l’Italia.
Tutto sommato possiamo dire che ci sia andata bene, vista la pericolosità di questa malattia che porta alla morte dell’uno per cento di coloro che la contraggono, causando anche grossi scompensi cardiaci.
Per noi si è trattato più che altro di convivere quotidianamente, per un periodo lungo fino a sei mesi, con i fastidiosi effetti che la neurotossina da noi ingurgitata crea: stanchezza, gran prurito concentrato in alcune zone del corpo, scosse elettriche al contatto delle mani e dei piedi con acqua ed altri liquidi, inversione o accentuazione delle sensazioni termiche, con mani e piedi che scottano o che sembrano freddissimi, a seconda del caso.
Un ulteriore disagio che abbiamo dovuto sopportare, soprattutto vista la carenza di cibi alternativi durante la permanenza in barca, è stato il divieto di cibarsi per vari mesi di alimenti proteici, soprattutto di origine animale: quindi niente pesce, carne, uova e pochi formaggi e legumi.

Dopo i primi difficili giorni da malati, l’equipaggio, persi due elementi importanti, a fine giugno ha dovuto farsi forza ed affrontare le oltre cinquecento miglia di mare per l’isola di Fakarava, alle isole Tuamotu, dove lo attendevano impegni improrogabili presi parecchio tempo prima. Ci ritroveremo nei bellissimi atolli delle Tuamotu!

Sapito in Polinesia: isole Marchesi (1) – Fatu-Hiva

…e sistemata la cambusa e rifornito di carburante, Sapito è partito dalle Galapagos – Puerto Ayora, sull’isola Santa Cruz, apprestandosi a percorrere le oltre tremila miglia che lo separavano dalle isole Marchesi, nella Polinesia Francese.
Dopo un giorno di motore verso sud, necessario per uscire quanto prima dalle calme equatoriali, abbiamo raggiunto un aliseo abbastanza costante ad una latitudine di circa 5* sud; la navigazione si è svolta regolarmente quasi solamente a vela, con ampio uso dello spi asimmetrico e parzialmente del gennaker, registrando medie di tutto rispetto.

La percorrenza media giornaliera è stata infatti di 142 miglia, con una punta massima di 167.
Velocità massima, registrata in planata sull’onda, sotto spi asimmetrico, 14,3 nodi, non male per una barca di soli 11,5 metri, carica come il Sapito, che in assetto di crociera pesa tra le 11,5 e le 12 tonnellate.

Da registrare durante tutta la crociera una notevole quantità di abboccate alle nostre esche a traina, con un record di tre catture di lampughe contemporaneamente. Vari anche i tonni ed i wahoo portati a bordo, per la delizia del cuoco e del suo equipaggio.

Molto emozionante l’avvistamento dell’isola di Fatu-Hiva dopo oltre 21 giorni di navigazione e 3020 miglia percorse, nonostante la poca visibilità causa un forte piovasco.

Addirittura commovente l’arrivo alla Baia delle Vergini, meta agognata di molti navigatori e punto di raccolta di coloro che hanno come noi appena attraversato il Pacifico.

La bellezza di questo posto ci ha immediatamente stregati, forse anche al di sopra delle nostre aspettative, con una natura che dire rigogliosa è dir poco ed una popolazione ospitale e amichevole come mai ci era capitato nella vita.
A Fatu-Hiva ci siamo riconciliati con una vita primordiale, immersa nella natura. Tutto trabocca di ritmi blandi e clima mite, e la gente che vi vive non deve far altro che approvvigionarsi gratuitamente nel grande emporio che l’isola rappresenta. Basta cogliere la frutta dagli alberi (se non addirittura da terra), andare a caccia dei maiali e delle capre selvatiche di cui l’isola è piena, o andare a pesca dei grandi pesci di cui il mare è ricolmo. Il tutto in un atmosfera di serenità ed amicizia che riporta ad una pace interiore ben difficile da ritrovare nella nostra pur amata Europa.
Per assaggiare le specialità locali basta individuare una qualche simpatica famiglia, che preparerà, in un forno scavato sottoterra, ricette molto semplici, ma succulente. Il tutto servito nella loro abitazione, senza alcun fronzolo.

Qui il tempo sembra essersi fermato, con la pratica del baratto ancora gradita ai locali, nonostante ci sia la sensazione ormai che il giocattolo sia sul punto di rompersi, con la forza prorompente che il dio denaro esercita anche sulle popolazioni meno succubi del consumismo.
Comunque la natura la fa da padrona, con la frutta che cadendo dagli alberi rischia di colpire chi dovesse passarvi sotto.
Oltre agli immancabili cocchi, qui spiccano gli incredibilmente grossi e dolci pompelmi, i limoni e le arance, i boschi di mango, gli alberi di papaya, guajava, carambola, frutto della passione, oltre ad una sequela di frutti a noi sconosciuti, ma non per questo meno saporiti.

È con grande dispiacere che ci siamo accomiatati da questa stupenda isoletta, ben consci del fatto che sarà molto improbabile un nostro ritorno qui, vista la notevole difficoltà di collegamento che caratterizza questo posto, mancando anche un aeroporto.
L’unica sarebbe tornarci in barca a vela, in un eventuale altro giro del mondo…

Sapito alle Galapagos

… e dopo una settimana di navigazione in Pacifico, Sapito a fine aprile arriva a Puerto Baquerizo Moreno, sull’isola di San Cristobal, alle Galapagos.

Ci ancoriamo in rada, ed attendiamo di espletare il lungo e costoso iter burocratico per regolarizzare la nostra posizione qui in Equador.
Subito le cose prendono una buona piega, con il piacevole incontro con Enrico Tettamanti, espertissimo navigatore skipper del Plum, stupendo Solaris di 72 piedi.

Nel pomeriggio si avvicendano a bordo le varie autorità locali per i controlli di rito, atti al rilascio dei permessi di ingresso: in totale sono nove le diverse visite che subiamo, con più o meno accurate ispezioni da parte della polizia, della capitaneria di porto, della quarantena, dei funzionari del parco naturale delle Galapagos, il tutto sotto il controllo dell’agente segnalatoci da Enrico, a cui abbiamo dovuto obbligatoriamente appoggiarci.
Lo “scherzo” ci dovrebbe costare un migliaio di dollari, e già la cosa ci urta non poco, se poi a questo aggiungiamo la visita finale da parte della capitaneria di porto che ci consegna una lettera del nuovo comandante, che ci intima a lasciare l’arcipelago entro sei ore, poiché ci manca l’Autografo, un documento da richiedere con qualche mese di anticipo in terraferma, si capisce il livello di antipatia che raggiungiamo per questi posti…
Peccato che la prassi corrente voglia che si dia ospitalità anche alle barche senza detto documento, come dimostrato dalle innumerevoli imbarcazioni all’ancora che ne sono sprovviste.
Da notare inoltre che dover lasciare un posto senza poter approvvigionare la cambusa nè fare adeguate scorte di carburante, in vista della traversata più lunga (oltre 3000 miglia) nel programma del giro del mondo, non è cosa proprio simpatica.
Facciamo così di tutto per allungare la nostra permanenza in porto e riusciamo a restare in totale due giorni.
Poi simuliamo la partenza per le isole Marchesi, ma in realtà ci trasferiamo all’isola di Santa Cruz, a 45 miglia.
Bella nel trasferimento la cattura di un tonno pinne gialle di una ventina di chili.

Arrivati a Puerto Ayora, con la complicità della locale Capitaneria di Porto, riusciamo a rimanere per quasi una settimana nella semi clandestinità, soprattutto grazie ai consigli ed ai contatti di Enrico Tettamanti, e quindi a completare i necessari rifornimenti e ad effettuare qualche piacevole visita a terra.
Avvistiamo varie otarie, di cui spesso dobbiamo subire invadenti visite a bordo, vediamo molti uccelli marini (sule, pellicani), oltre alle monumentali tartarughe terrestri ed agli iguana sempre sdraiati al sole.

Alla fine quella che era nata come una grande sfortuna (solo noi ed un equipaggio americano avevamo subito questo ingiusto trattamento, poi le autorità locali sono tornate alla prassi normale di accogliere tutte le barche), è risultata un bel risparmio per le nostre casse, avendo permesso di risparmiare almeno cinquecento dollari di tasse locali.

Nel complesso le isole da noi visitate sono risultate caratterizzate sì da una natura selvaggia, piuttosto tutelata e protetta, con animali spesso allo stato libero, ma alla fine non così fantastiche come ci si poteva aspettare dalle varie letture e testimonianze, visti anche i costi esorbitanti che bisogna affrontare per recarcisi, tanto in barca quanto in aereo: qui qualsiasi attività si voglia svolgere, perfino un semplice snorkeling, ha costi tali che a nostro modesto avviso ne fanno perdere in buona parte di interesse, tanto più se si fa un confronto con molti dei posti raggiunti durante il nostro viaggio, spesso addirittura più interessanti, e sempre più a buon mercato.
Prossima tappa la lunga traversata del Pacifico, con meta le isole Marchesi, primo arcipelago della Polinesia Francese che visiteremo.

Sapito inizia le navigazioni in Pacifico

Ci eravamo lasciati con Sapito all’ancora alla Playta, alla fine del canale, vicino alla città di Panama, in attesa del rientro di Luca dall’Italia. Questo ancoraggio piuttosto frequentato, caratterizzato da grandi escursioni di marea, fino a tre/quattro metri, si è rivelato scomodo per le molte onde delle barche e navi di passaggio, e con un’acqua molto sporca e fredda.
Ciò ha fatto accelerare i tempi di preparazione della barca per la successiva lunga ed impegnativa navigazione che dovrà portare il catamarano fino alle isole Tuamotu, con circa 4500 miglia da percorrere.
Ma andiamo per ordine: prima cosa da completare una mega cambusa che dovrà bastare, esclusa la parte fresca, fino a novembre, viste le scarse e assurdamente care possibilità di reperimento di ogni genere nei prossimi luoghi che toccheremo.
Poi cambio completo delle sette batterie servizi, che avevano dimostrato una certa stanchezza. Quindi grande rifornimento di carburanti per la traversata fino alle Galapagos. Alla fine la barca galleggia a stento, visto il gran carico imbarcato. Troviamo anche il tempo per una veloce visita alla città,

con il Casco Antiguo, la parte vecchia, non priva di fascino visti i grandi interventi di restauro e di riqualificazione che le autorità stanno stimolando.
Quindi, alla vigilia di Pasqua, partenza per le vicine isole Las Perlas. Si tratta di un piccolo arcipelago quasi totalmente disabitato, a qualche decina di miglia da Panama, caratterizzato da una natura aspra e selvaggia ed un mare torbido, ma molto pescoso.

Qualche giorno quindi di pieno relax, dediti alla pulizia della carena, necessaria visti i pesanti controlli che dovremo subire arrivati alle Galapagos, ed ad una pesca a tratti miracolosa. Vari infatti gli spanish macarel, palamite, tonnetti, oltre ad uno spettacolare cubera snapper ( simile al nostro dentice) da record, con un metro di lunghezza ed oltre undici chili di peso. Gran bella roba per la nostra cambusa!

Quindi il grande balzo per le Galapagos, che vede Sapito impelagato nei famosi doldrums, le calme equatoriali, con una navigazione con pochi venti capricciosi, quasi solo di bolina, con molto motore. Oltre agli ospiti piumati a bordo,

da registrare l’avvistamento di vari delfini e globicefali, oltre ad un inatteso incontro con una lancia di pescatori ad oltre duecentocinquanta chilometri dalla più vicina costa, riconoscenti per le birre ed i biscotti donati.

N solo pesce catturato, un bel tonno pinne gialle di circa 4 chili,

(comunque il frigo è ancora pieno delle precedenti catture!), a parte l’abboccata di un bellissimo marlin, fuggito con l’esca dopo essersi esibito in spettacolari salti fuor d’acqua.
Nell’ultima notte di navigazione da registrare il festeggiamento per il passaggio dell’equatore in barca, che sancisce l’entrata ufficiale nei mari del sud.

Durata complessiva dell’attraversata sette giorni edue ore, per un totale di circa novecento miglia percorse.
Ora qualche ulteriore rifornimento di carburanti e cibo fresco, poi qualche giorno di doverose visite a queste isole così particolari, quindi il grande balzo verso la Polinesia, con più di tremila miglia da percorrere, la più ampia tratta di tutto il giro del mondo, che vedrà l’equipaggio di Sapito in mare per circa venti giorni, con prima terra toccata le isole Marchesi.
Da giugno poi saremo fissi fino a novembre alle isole Tuamotu, paradiso dei subacquei. Chi volesse venire a trovarci si affretti a contattarci, usando i riferimenti nella voce contatti del sito. Ciao e a presto!

Sapito passa il Canale di Panama

…e dopo la rilassante parentesi di mare, sole, atolli e pesca alle San Blàs, Sapito ha diretto le prue verso Porto Bello prima, e successivamente Colon, porto panamense sul lato caraibico del canale di Panamà.
Interessante la costa dalle isole dei Kuna fino a Colon, con una lussureggiante foresta tropicale in cui spiccano le agghiaccianti grida delle scimmie urlatrici.
Passiamo qualche giorno all’ancora nella trafficatissima baia di Colon, iniziando le pratiche per il passaggio del canale.
Poi tre giorni al marina di Shelter Bay, dove ci raggiungono il pordenonese Aldo, quarantaquattrenne skipper, ed il pensionato milanese Renato, appassionato di pesca, che sostituiscono Maria Luisa, scesa alle San Blàs.

Ma torniamo al canale: le lunghe pratiche iniziano con una mail da inviare ad un ufficio preposto, che chiamiamo subito dopo per la conferma di avvenuta ricezione. Tutto ciò perché abbiamo scelto di non spendere i trecento/cinquecento dollari richiesti normalmente da un agente che si dovrebbe occupare dell’ intera procedura.
Otteniamo così un appuntamento con il misuratore del canale, che il giorno seguente dovrà controllare minuziosamente la nostra barca, e dare l’ok alla nostra pratica.
Oltre alle misure della barca, dobbiamo mostrare la cassa delle acque nere, i parabordi e le cime di ormeggio (necessarie in numero di quattro di almeno trentotto metri di lunghezza), oltre alla quantità di carburante.
Quando tutto risulta in ordine, riceviamo tutti i relativi moduli compilati e le istruzioni per recarci nell’unica banca dove poter effettuare il versamento di 1875 dollari, esclusivamente in contanti.
Effettuato il versamento, comprensivo anche di una cauzione di 890 dollari che ci verrà resa se non causeremo intralcio nell’attraversamento, potremo chiamare dopo diciotto ore l’ufficio che ci prenoterà il passaggio: e il primo di aprile, in barba agli scherzi ittici, sarà la volta del Sapito!
Ed il giorno designato ci prepariamo lasciando il marina ed andandoci ad ancorare ai “Flat”, in attesa che ci raggiunga il pilota del canale, che ci assisterà durante il tragitto. Prima delle diciotto partiamo assieme ad un altro catamarano sudafricano, a cui saremo affiancati e legati per passare le tre chiuse di Gatun, quelle che ci permetteranno di salire di circa trenta metri fino al lago omonimo. Passeremo le chiuse assieme ad una nave di Singapore, per poi accostarci ad una boa sul lago, dove trascorreremo la notte.

Il giorno successivo sveglia presto, con il secondo pilota che ci raggiunge per percorrere le ventisette miglia di lago che ci separano dalla prima chiusa, quella di Pedro Miguel.

Poi la discesa continua con le due chiuse di Miraflores, dove famiglie ed amici ci vedono attraverso la web cam, inviandoci vari saluti.

…e poi è oceano Pacifico.
Passiamo sotto al grande ponte de “Las Americas”…

…e ci andiamo ad ancorare nella baia de la “Playta”, dove rimarremo fino al ritorno di Luca in partenza per una veloce visita alla sua famiglia in Italia. Prossime mete le Galapagos, le Marchesi e le Tuamotu.
Arrivederci a presto!!!

Sapito ai Caraibi (6): Panamà – Isole San Blàs

…e dopo la lunga sosta nella bella città coloniale di Cartagena, Sapito, completati i rifornimenti e la cambusa, a fine febbraio ha diretto le prue verso le incantate isole San Blas, in quel di Panamà.
Partenza nel pieno della notte, così da poter arrivare nella serata successiva, dopo quasi duecento miglia.
Primo atterraggio a Cayo Holandès, bellissimo atollo corallino che subito ci incanta con i colori delle sue acque e con le sue bianchissime spiagge.

Il secondo giorno ci dobbiamo spostare all’isola di Porvenir, dalla parte opposta delle isole San Blàs, per poter effettuare l’entrata nel paese. Morale dobbiamo sborsare la non modica cifra di U$643 per le pratiche della barca e dell’equipaggio.
Il pomeriggio, mentre siamo lì ancorati, Luca si sente chiamare dalla spiaggia a pochi metri di distanza: si tratta degli amici Erminio, Rosy e Renato, lì di passaggio da un viaggio in Centramerica. Automatico l’invito a cena a bordo, con festeggiamenti per l’inatteso incontro.

Poi un periodo di poco meno di un mese di tranquille permanenze tra i vari atolli, da Cayo Coco Bandero a Cayo Holandès, da Cayo Chichime a Cayo Limòn, fino alle interessanti Robeson, sempre molto ridossati dalle varie isolette e barriere coralline.

Le giornate scorrono placide, con l’equipaggio rilassato, ma impegnato in grandi esplorazioni delle lagune e dei fondali,

alla ricerca di pesci e crostacei da consumare a pasto. Belle e frequenti le catture di barracuda, king fish, snapper, sia a traina che con il fucile, consumati poi in luculliane cene assieme agli equipaggi delle imbarcazioni con cui volta per volta si condivide l’ancoraggio.

E qui apriamo una parentesi per sottolineare la presenza in massa di barche italiane che hanno eletto queste splendide isole ed acque quali luogo ideale per svernare.
Ci sono così personaggi e barche che ogni anno costituiscono una vera e propria comunità galleggiante tra questi atolli: nomi quali Lorenzo, Simonetta, Spartaco, sono tra i più conosciuti da queste parti, a cui vanno ad aggiungersi quelli dei vari equipaggi che come noi passano periodi più o meno lunghi in zona.

Le isole San Blas, pur se appartenenti allo stato di Panamà, godono di una notevole indipendenza, riconosciuta dal governo centrale ai loro abitanti, gli indios Kuna Yala.
Questi vivono in capanne rudimentali e rifiutano gran parte delle comodità tipiche delle civiltà più evolute, vietando anche ai turisti normali attività quali la subacquea ed il kite surf, nel tentativo di preservare le loro tradizioni e costumi. C’è da dire che a detta di chi è passato di qua qualche anno fa il dio dollaro, onnipresente da queste parti, ha già causato notevoli cambiamenti, che probabilmente in pochi anni porteranno ad un totale stravolgimento delle usanze locali.
La società Kuna è organizzata rispettando una rigida cultura matriarcale. Le donne sono così chiamate ai compiti più faticosi, come d’altro canto in molti luoghi nel mondo. Esse si occupano della famiglia e di buona parte del suo sostentamento. Attività primaria è la produzione e la vendita delle Molas, una sorta di ricamo su tela, in alcuni casi molto elaborati e dai colori vivaci.

Comunque queste isole sono rimaste ancora veramente molto belle, sicuramente le più belle incontrate in questi mesi ai Caraibi. Nella speranza che i Kuna riescano nel miracolo di preservarle ancora per molto in queste condizioni, in un mondo che al contrario sta distruggendo senza sosta i pochi paradisi rimasti. Prossimo appuntamento con l’attraversamento del canale di Panamà. Ciao

Sapito ai Caraibi (5): Colombia

…e dopo il trittico di isole olandesi, Sapito, nel suo avvicinamento al Canale di Panama, che lo vedrà fra qualche tempo cambiare oceano, si è diretto verso la Colombia, con una navigazione in una zona molto impegnativa di quasi trecento miglia.
Partiti da Aruba in tarda mattinata, per poter contare su un arrivo a destinazione con la luce, l’equipaggio si è garantito una previsione meteo delle più favorevoli per l’area che si apprestava a percorrere.
Questa tratta infatti è considerata la più difficile ed impegnativa di tutto il giro del mondo, tanto da essere soprannominata la ” Capo Horn” dei Caraibi.
È il superamento della penisola de La Guajira il punto critico, causa una concomitanza di fattori quali i fondali poco profondi sottocosta, e soprattutto una forte accelerazione dell’aliseo, che portano gli equipaggi ad impegnative prove con onde di altezza molto sopra la media e spesso frangenti e venti molto forti.
Al Sapito è andata piuttosto bene, a conferma della validità delle previsioni utilizzate.
Non sono comunque mancati momenti impegnativi, con venti che all’arrivo a Santa Marta, doppiando Cabo de la Aguja, hanno toccato e superato i quaranta nodi ed onde molto incrociate, costantemente sopra i due metri e mezzo, con punte di oltre tre metri e mezzo.
Quasi due giorni di poco riposo, che hanno messo a dura prova oltre all’equipaggio anche le attrezzature del catamarano, registrando la rottura delle due stecche più alte della randa.
Alla fine tre giorni di meritato riposo al Marina di Santa Marta, seguiti poi da nuovi preparativi e riparazioni per le tappe successive.

Santa Marta si è rivelata un luogo poco organizzato per chi vi arriva in barca a vela, senza praticamente la possibilità di reperire qualsiasi pezzo di ricambio specifico. La città è graziosa e abbastanza sicura, con buone possibilità di far cambusa.
Nota costante il clima secco e molto ventilato, con rari momenti di calma di vento e con raffiche spesso violente, anche oltre i cinquanta nodi, soprattutto durante la notte. Dopo Santa Marta Sapito ha rivolto le sue prue verso la ben più nota Cartagena.
La navigazione ha visto momenti molto concitati in corrispondenza della foce del Rio Magdalena, di fronte alla città di Barranquilla. Nonostante si fosse scelta una rotta abbastanza lontana dalla foce, giunti nella sua prossimità abbiamo dovuto deviare verso la costa causa un improvviso ostacolo rappresentato da un’insidiosissima rete derivante (a pelo d’acqua) di cui non si vedeva la fine. Siamo così incappati in onde frangenti altissime (4/5 metri) dovute al basso fondale, che ci hanno sballottato in maniera furiosa. Per fortuna la barca è dotata di una incredibile stabilità che ci ha tratto d’impaccio.
La mancanza di foto testimonia la difficoltà incontrata, che non permetteva distrazioni.
Poi la navigazione è continuata normalmente, fino all’arrivo ad orario molto tardo (dopo le due di notte) all’ancoraggio nella grandissima laguna di Cartagena, di fronte al club nautico.
La città alla luce del sole ha mostrato subito varie sfaccettature molto distinte: all’affascinante Cartagena coloniale

si contrappone una città fin troppo moderna, con uno skyline da grande metropoli piena di alte torri e palazzoni,

che troppo stridono con la città dai quartieri poveri e dalla vita dura, con gente che deve sbarcare il lunario con stipendi minimi di trecento euro al mese ed un costo della vita non dei più bassi.

Ed ora, dopo la Colombia, ci aspetta Panama, con le sue incantate isole San Blas, ed il canale, preludio di un nuovo oceano e di nuove avventure. Ciao dal Sapito